“I governi sono ora responsabili per ogni trasferimento di armamenti che entrano o escono dai loro territori. Dovranno mettere i diritti umani e il diritto umanitario, non i profitti al centro delle decisioni”, ha commentato Anna MacDonald, parlando a nome della campagna Control Arms, uno dei principali sostenitori del trattato. Il documento non ha avuto vita facile. Il sì dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite è arrivato lo scorso aprile, con 154 voti a favore, 23 astenuti -tra cui i russi- e tre contrari: Siria, Corea del Nord e Iran. Il testo è stato un compromesso tra diversi interessi, su cui hanno pesato ragioni strategiche e geopolitiche. Non mancano le lacune. Come sottolinea un’analisi di Archivio Disarmo, riguarda soltanto le armi leggere e di piccolo calibro e i principali sistemi d’arma: carri armati, veicoli corazzati da combattimento, sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei da combattimento, elicotteri d’attacco, navi da guerra e sottomarini, missili e missili lanciatori. Ci sono però regole più deboli per quanto riguarda le munizioni e restano fuori le armi che non hanno un esclusivo uso militare e quelle elettroniche come radar, satelliti o droni telecomandati.
Redazione
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